BIODIRITTO
Autor: Francesco D’Agostino
INDICE
1. Introduzione
2. I diversi Paradigmi
2.1 Paradigma Liberalista
2.2 Paradigma Procedurale
2.3 Paradigma dei soggetti deboli
2.4 Paradigma Solidaristico
3. Conclusione
BIBLIOGRAFIA
1. Introduzione
Al significativo sviluppo conosciuto dalla riflessione bioetica negli ultimi decenni non è corrisposto un analogo sviluppo della riflessione biogiuridica: gli stessi tentativi, intrapresi da più parti, per introdurre il termine biodiritto come necessario pendant del termine bioetica si sono rivelati di fatto fallimentari. Probabilmente ciò è dovuto alla permanenza, in molti casi, inconsapevole, dell’idea giuspositivistica, secondo la quale il diritto verrebbe dopo e come tale possederebbe uno statuto debole e secondario (anche se rispettabile e meritevole di attenzione scientifica): verrebbe dopo scelte politiche e /o etiche fondamentali, a cui esso dovrebbe garantire piena e rigorosa operatività sociale. In questa prospettiva spetterebbe ai soli bioeticisti operare giudizi bioetici fondamentali espetterebbe ai giuristi, ove questi giudizi dovessero tradursi in pratiche sociali vincolanti, individuare le tecniche normative e sanzionatorie adeguate per realizzare questi obiettivi. In questa prospettiva, quindi, al diritto spetterebbero nei confronti della bioetica compiti assolutamente strumentali. Il limite di questo modello, peraltro molto diffuso fattualmente anche se di rado difeso teoricamente, è evidente. Senza entrare nel merito della riduzione del diritto a strumento, resta il fatto che pensando al diritto come mero strumento non si coglie la specificità strutturale della strumentalità: gli strumenti, infatti, quanto più sono complessi (e della complessità del diritto non c’è chi possa dubitare) non sono mai dotati di una polivalenza indiscriminata, ma sono prima pensati, poi elaborati, poi utilizzati in funzione della realtà che intende utilizzarli. Non c’è quindi da meravigliarsi se in questioni bioetiche (e in particolare biomediche) l’appello al diritto si sia rivelato tante volte sterile o abbia cercato, propria nella consapevolezza della sua sterilità, di aprirsi strade paragiuridiche e paragiudiziarie(esemplari le vicende che hanno portato all’istituzione del Tribunale dei diritti del malato).
2. I diversi Paradigmi
Il modo corretto di impostare la questione è quindi quello di pensare alla bioetica e al biodiritto come a due sistemi retti da due codici binari diversi, anche se interconnessi e che corrispondono puntualmente (né potrebbe essere diversamente) ai codici dell’etica da una parte e del diritto dall’altra: la bioetica risponde al codice bene/male, il biodiritto al codice giusto/ingiusto. Il codice bene/male ha il suo spazio nella relazionalità interpersonale, il codice giusto/ingiusto lo ha invece nella relazionalità socio-istituzionale. Da ciò consegue che non tutte le valutazioni bioetiche possono tradursi in valutazioni biogiuridiche, ma solo quelle che hanno un impatto sulla dimensione della socialità istituzionalizzabile (e questo ci spiega perché anche valutando bioeticamente come “male” l’autodistruzione suicidaria non sia possibile ottenerne una criminalizzazione giuridica) e ci spiega altresì perché il diritto possa rendere obbligatorie pratiche sociali di rilievo bioetico (come ad es. le vaccinazioni) nel nome di un interesse sociale collettivo, al quale non è detto che corrisponda una dimensione di “bene” di tipo personale.
Come in bioetica è controversa la determinazione concreta del codice bene/male, così nel biodiritto non può che essere controversa la determinazione del codice giusto/ingiusto. Sono quattro i paradigmi che si sono affermati in merito: il paradigma liberista che riduce il giusto alla promozione dell’autonomia, il paradigma procedurale che riduce il giusto alla corretta osservanza di protocolli condivisi e il paradigma garantista che lo vede finalizzato alla tutela dei soggetti deboli, il paradigma promozionale che vede nella massimizzazione del giusto la massimizzazione del bene umano sociale in generale.
2.1 Paradigma Liberalista
Il paradigma liberista ritiene che il sistema giuridico non debba imporre valori ai consociati, né meno che mai valori non condivisi, ma debba piuttosto operare per garantire a ciascun consociato la possibilità di maturare la propria autonomia e gestirla liberamente. L’autonomia, a cui fanno riferimento i fautori di questo modello, non ha alcun valore intrinseco, né è descrivibile nei suoi contenuti: vale, nei limiti in cui un soggetto, insindacabilmente, pretenda di farla valere, come manifestazione di una sua, altrettanto insindacabile, preferenza. Nel biodiritto, questo modello opera secondo diverse direttrici. In primo luogo esso auspicherà la minimizzazione del diritto come pratica sociale: l’autonomia possiede infatti la massima capacità espansiva quanto meno è condizionata da norme e da vincoli sociali. La giustificazione del diritto risiede, secondo questa prospettiva, fondamentalmente nella sua capacità di operare mediazioni efficaci tra pretese autonomistiche potenzialmente conflittuali. Il miglior diritto sarà quindi quello che potrà massimizzare l’autonomia dei consociati o –se così si preferisce dire- minimizzare i sacrifici in termini di autonomia richiesti ad ogni consociati per garantire l’autonomia altrui. Il limite di questo modello sta nella sottile contraddizione che lo pervade. Se il fine del diritto è garantire l’autonomia e se l’unico limite giustificato all’esercizio dell’autonomia è il rispetto per l’autonomia altrui, ne segue che il fine reale del diritto non è garantire l’autonomia dei singoli, ma garantire la possibilità generale dei singoli di convivere e di convivere in un sistema sociale giusto, che non dia cioè il potere o il primato ai più forti.
2.2 Paradigma Procedurale
Il paradigma procedurale non crede alla possibilità di individuare criteri materiale di giustizia, ma ritiene piuttosto che un sistema giuridico giusto sia un sistema governato da regole conosciute e condivise da tutti e che quindi è giustificato che tutti obbligatoriamente rispettino. I limiti di questo modello (il ricordo al quale peraltro si rivela molto utile in diversi contesti) sono diversi. In primo luogo il modello, dando per presupposto che tutti i consociati debbano partecipare all’elaborazione delle regole sociali, adotta implicitamente l’idea che sia obiettivamente giusto che nessuno sia escluso da questa elaborazione (dunque esiste–contro le premesse- almeno un valore materiale di giustizia, cioè l’eguaglianza). La seconda osservazione è invece di carattere fattuale: il modello dà per presupposto ciò che è difficile realisticamente presupporre e cioè che le regole sociali siano davvero prodotte e siano realmente condivise da tutti quei consociati, che sono poi chiamati a rispettarle (possiamo infatti ipotizzare che nel sistema sociale non possano non esistere individui, che ad esso sono sì sottoposti, ma che non sono stati consultati per quel che concerne la sua elaborazione o che non potevano esserlo: minori, incapaci, ecc.). Il modello infine non tiene conto che molte decisioni di rilievo socio-istituzionale, in specie in ambito biogiuridico, coinvolgeranno gli interessi, le spettanze e soprattutto i diritti delle generazioni future, che per definizioni non potranno mai essere consultate in merito a scelte che incideranno sulla qualità della loro vita. Per rispettare questi diritti sarà necessario elaborare criteri materiali e non meramente procedurali di giustizia.
2.3 Paradigma dei soggetti deboli
Il terzo modello vede come compito prioritario del biodiritto la tutela dei soggetti deboli. Questo modello ha un rilievo particolarissimo, ove si consideri quali e quanti problemi conturbanti e inediti siano pressoché quotidianamente sollevati dal progresso della medicina, della biologia e della genetica. Soggetto debole è primariamente il soggetto malato, al quale la coscienza contemporanea riconosce uno statuto di tutela particolarissimo, che va al di là di ogni logica di frontiera. Ma è anche qualunque essere umano, cittadino o straniero, sano o malato, la cui vita possa essere esposta a rischi, oltre tutto da lui difficilmente calcolabili, dalle nuove potenzialità di manipolazione genetica, dalla sperimentazione di massa di nuovi farmaci, dalla stessa strutturazione burocratica dell’assistenza sanitaria moderna. Il tema della tutela dei soggetti deboli si unisce e si fonde col grande tema, tipicamente moderno, dell’equità nella salute e richiede l’attivazione di un confronto –ancora agli inizi- con le dinamiche, anche esse tipicamente moderne- dell’economia.
2.4 Paradigma solidaristico
Il quarto modello va letto come una dilatazione del precedente e come una esplicitazione della logica solidaristica che non solo compare in pressoché tutte le costituzioni più avanzate del mondo contemporaneo, ma che caratterizza altresì le missioni umanitarie che costituiscono le espressioni più significative di alcune delle dinamiche internazionali contemporanee. I doveri di solidarietà sociale, nazionale e internazionale, possono acquistare carattere giuridicamente vincolante, al di là del fatto che corrispondano alle autonome volizioni dei singoli, perché coerenti con una dimensione di bene sociale generale, nazionale e internazionale, che sempre più appare essenziale alla coscienza contemporanea. Mentre il terzo modello impegna il diritto a individuare situazioni di fragilità sociale e a reagire contro di esse, il quarto modello lo impegna invece a promuovere il bene umano.
Ma come dare contenuti alla categoria bene umano? Sembra che questo modello entri in una insanabile contraddizione con il diffuso relativismo etico e culturale che caratterizza il mondo di oggi. Si osservi però che esso non pretende di acquisire valore normativo nell’esperienza etica, ma esclusivamente nell’esperienza giuridica. Ciò che qui si sta sindacando non è la possibilità di una unificazione morale e culturale del genere umano (che pure molti legittimamente auspicano), ma la possibilità di riconoscere a tutti gli esseri umani gli stessi diritti di rilievo bioetico.
In questa prospettiva vanno lette le ratifiche che hanno dato valore giuridico alla grande Convenzione internazionali di bioetica comunemente citata come la Convenzione di Oviedo. In questa prospettiva vanno letti gli sforzi dell’UNESCO, che dopo aver approvato l’Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights nel 1997 e l’International Declaration on the Human Genetic Data nel 2003, ha adottato per acclamazione il 19 ottobre 2005 una grande Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti dell’uomo, con la speranza di poter, all’inizio del nuovo millennio, rendere vincolante in tutti i paesi del mondo un codice dei diritti bioetici fondamentali da riconoscere ad ogni essere umano.
3. Conclusione
E’ evidente che la determinazione concreta ed operativa dei diritti può essere occasione di conflitti ideologici e culturali molto vistosi. Ma non si trascuri il fatto che la logica dei diritti fondamentali possiede un connotato di particolare rilievo, quello della universalizzabilità. Non si tratta di un connotato teoreticamente risolutivo, ma di quanto basta per fornire ai giuristi un criterio utile per desoggettivizzare e soprattutto denazionalizzare la logica dei diritti umani.
Nella prospettiva dell’universalizzazione, il diritto rivendicato e proclamato da qualunque essere umano potrà avere un riconoscimento solo se rivendicabile e proclamabile (in linea di principio) da parte di e per qualunque altro essere umano. L’universalizzabilità dimostra, nelle cose stesse, l’unità del genere umano ed è il presupposto per il riconoscimento di una fraternità universale, per raggiungere alla quale le forze del diritto –in sé e per sé troppo deboli- hanno bisogno di un ulteriore supplemento di anima.
Si sta aprendo quindi per la bioetica un’età dei diritti, nella quale bioeticisti e biogiuristi non devono farsi trovare impreparati.
BIBLIOGRAFIA
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D´AGOSTINO, F., Bioética. Estudios de filosofía del Derecho, E. Internacionales Universitarias, Madrid, 2003.
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SGRECCIA, E., Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano, 2003.
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D’Agostino, Francesco, BIODIRITTO , en García, José Juan (director): Enciclopedia de Bioética.