TRAPIANTO DI UTERO ASPETTI MEDICI, BIOETICI E GIURIDICI
Autor: Maurizio Faggioni
1. SUMMARY
2. INTRODUCIONE
3. DATI BIOMEDICI
4. ASPETTI BIOETICI
4.1 Liceità del trapianto
4.2 Etica della sperimentazione
4.3 Ragionevolezza della procedura
5. PROBLEMATICHE GIURIDICHE
6. PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE, CULTURALI E SOCIALI
7. RIASSUNTO
Note e Bibliografia
1. SUMMARY
Uterine transplantation: medical, ethical and legal implications
Women with uterine factor infertility (UFI) stemming from congenital causes (e.g. Rokitansky syndrome) or from hysterectomy are not able to ful-fill their longing for motherhood except resorting to adoption or surrogacy, a practice that is forbidden in many countries. The uterine transplantation is currently under study as an alternative option for women who desire experience pregnancy. After decades of animal researches, in Sweden the first livebirth after uterine transplantation and IVF has been reported and this report is a proof for uterine transplantation as a treatment for UFI. Uterine transplantation is, as principle, morally acceptable, but many ethical issues must be considered in the context of clinical trials and eventually of standard practice.
2. INTRODUCIONE
Dopo i primi tentativi con animali negli anni ‘60 e una susseguente fase di eclissi, alcuni tentativi di trapianto di utero compiuti, con scarso successo, all’inizio di questo secolo hanno destato di nuovo l’interesse della comunità scientifica. Sono stati elaborati orientamenti condivisi per guidare questa fase ancora pionieristica e un protocollo sperimentale è stato avviato in Svezia. La nascita di una bambina dopo trapianto uterino ha dimostrato la praticabilità di questa procedura che presenta interrogativi di tipo medico, etico e giuridico di non univoca soluzione.
3. DATI BIOMEDICI
Esistono situazioni di infertilità femminile che non sono ancora suscettibili di alcun trattamento efficace e fra queste si annovera il Fattore Uterino di Infertilità (FUI) assoluto che deriva da una inabilità anatomica o funzionale dell’utero nel sostenere una gravidanza. Un primo gruppo comprende cause di natura congenita in cui si verificano l’assenza congenita o gravi alterazioni e malformazioni dell’utero, come l’ipoplasia uterina, la sindrome di Rokitanski nota anche come sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser e altre anomalie a carico delle strutture mülleriane. Un secondo gruppo comprende l’assenza dell’utero dopo isterectomia in diverse situazioni acquisite che non rispondono ad altro trattamento che quello chirurgico totale: possono essere patologie di interesse ostetrico come l’emorragia post partum intrattabile e la malplacentazione o di interesse ginecologico come il leiomioma uterino, l’endometriosi cronica e intrattabile, la sindrome di Asherman, il cancro dell’utero. Il risultato è una sterilità per utero assente o patologico e si parla di UFI o Fattore Uterino di Infertilità assoluto. Il Fattore Uterino di Infertilità è presente nel 3-5% di tutte le donne.1
Per rispondere al desiderio di maternità di queste donne c’è la possibilità di adottare un bambino. L’adozione, per quanto atto di squisita accoglienza della vita, in molti casi non risponde al desiderio di una donna e di una coppia di generare un figlio biologicamente proprio, sangue del proprio sangue, per usare una modalità espressiva arcaica. Un’altra possibilità che si presenta è il ricorso alla maternità surrogata nella forma della madre surrogata gestazionale (“mére porteuse”). Proibita nella grande maggioranza degli Stati, in alcuni paesi, come l’India, tale pratica è permessa o tollerata e questo ha attirato un cospicuo turismo riproduttivo. La surrogazione con madre gestazionale, oltre a gravi problemi giuridici, etici e psicologici – riflessi nella quasi universale proibizione della pratica – non permette alla donna di fare l’esperienza della gravidanza, né permette l’instaurarsi di quel dialogo materno fetale che segna imprinting fondamentali nel nascituro. Per questo, dagli anni ‘60 del secolo scorso, si va tentando di sviluppare la tecnica del trapianto di utero così da permettere a una donna priva di utero o con un utero molto leso di poter concepire e portare avanti una gravidanza. Si pensi che negli Stati Uniti si eseguono ogni anno 5.000 isterectomie in donne sotto i 24 anni e si calcola che circa 9 milioni di donne in età feconda abbiano subito una isterectomia e a decine migliaia, tenendo conto del fecundity ratepotrebbero essere candidate al trapianto.2 Analogamente si stima che nel Regno Unito ci siano dalle 12 alle 15 mila donne come potenziali candidate al trapianto uterino.3
Nel 1966 Eraslan riuscì per la prima volta a fare l’autotrapianto di utero e ovaie in una cagna.4 Le ricerche sono continuate e nel de-cennio seguente si sono avuti notevoli passi avanti e successi in mo-delli animali sia per l’utero isolato sia per gli ovidotti sia per il trapianto del complesso utero-ovidotti. Da queste ricerche e tentativi è emerso che il trapianto degli ovidotti insieme con l’utero è il metodo tecnicamente migliore perché l’anastomosi dei vasi uterini maggiori assicura un buon flusso ematico alle tube con la giunzione utero-tu-barica non disturbata dall’intervento.5 Il trapianto di ovidotti ed ovaie in modelli animali ha portato a gravidanze.6 Nell’uomo i tentativi di trapianto tubarico isolato risalgono agli albori della chirurgia moderna e sono stati descritti interventi seguiti da gravidanze, ma la tecnica aveva bisogno di essere perfezionata.7 Una review del 1964 si concludeva con la profezia che “forse dopo cinquant’anni qualcuno della generazione più giovane avrebbe riferito casi di omotrapianti riusciti di tube di Fallopio sane prese da donatori”.8 Lo sviluppo delle tecniche microchirurgiche per intervenire su varie patologie tubariche e l’introduzione delle tecniche di fecondazione in vitro dalla fine degli anni ‘70 avrebbero permesso, tuttavia, di curare o di aggirare in modo più agevole le sterilità di tipo tubarico. Restava senza risposta la sterilità assoluta da fattore uterino, ma per qualche tempo questo particolare problema fu messo in disparte.
Nel 2000, la sensibilità della cultura islamica per la generazione naturale rispetto al ricorso all’adozione e alla surrogazione ha portato, in Arabia Saudita, al tentativo di ripristinare le strutture anatomiche in una donna priva di utero.9 Il gruppo ha fatto, con successo, alcuni tentativi di autotrapianto sui babbuini ed è poi è passato al tentativo su una donna. La paziente trapiantata era una donna di 26 anni che, dopo la nascita del primo figlio con taglio cesareo, aveva presentato una emorragia resistente ad ogni trattamento e che, per questo, era stata isterectomizzata. L’utero trapiantato era stato prelevato da una donna di 46 anni nel corso di un intervento di ovariectomia per cisti ovariche bilaterali.10 Il trapianto ha resistito per circa 3 mesi con buona risposta agli stimoli ormonali e due episodi di mestruazione. Si sono poi verificate piccole crisi di rigetto, controllate dapprima con aggiustamento della terapia immunosoppressiva, finché una trombosi acuta ha provocato un infarto uterino. Una laparatomia esplorativa conferma una necrosi uterina per difficoltà circolatorie e si è proceduto a espianto dell’organo trapiantato. Donatrice e ricevente erano state dichiarate compatibili solo sulla base degli antigeni AB0, il matching tissutale HLA e la negatività di anticorpi citotossici nella ricevente.
Nel 2008, il Comitato etico della FIGO (Internationale Federation of Gynecology and Obstetrics) pubblicava un rapporto che giudicava il trapianto uterino non etico per la mancanza di dati sulla sua sicurezza ed efficienza.11 La situazione scientifica, però, stava rapidamente cambiando. L’esperienza con i modelli animali portava a un raffinamento delle tecniche chirurgiche, i trapianti coronati da gravidanza si moltiplicavano, migliorava la capacità di evitare danni all’organo prelevato durante l’ischemia fredda e la riperfusione e la formulazione di nuovi protocolli antirigetto in campo trapiantologico generale attenuava molto il timore di effetti teratogeni per i nascituri: il passaggio all’uomo era ormai un traguardo ragionevole.12 Nel 2010, in una revisione delle ricerche compiute nell’ambito del trapianto di utero, uno dei più grandi esperti e capo del gruppo che otterrà più tardi la prima nascita dopo trapianto, il prof. Mats Brännström di Göteborg (Svezia), concludeva che, “considerando la stato corrente e l’attività di ricerca, noi prediciamo che il prossimo trapianto umano di utero sarà eseguito entro 5 anni”.13 Prendendo atto dell’evolversi celere della situazione, un gruppo di esperti riuniti a Indianapolis nel dicembre del 2011, sottoscriveva un consensus sulla praticabilità del trapianto di utero.14 In contemporanea tre ricercatori facenti capo alla Facoltà di medicina di Montreal formulavano criteri etici che potessero guidare la pratica del trapianto di utero sia nella fase sperimentale, sia nella eventuale fase clinica.15
Pochi mesi prima, nell’agosto del 2011, si era avuto in Turchia un tentativo su soggetto umano.16 Dopo accertamento della morte cere-brale, nell’ambito di una donazione multiorgano, era stato trasferito l’utero di una donna di 22 anni in una donna di 21 anni che presentava agenesia uterovaginale. L’utero prelevato è stato traferito in sede ortotopica e rivascolarizzato con anastomosi terminali delle arterie e delle vene ipogastriche bilateralmente con le arterie e le vene iliache esterne. Il successo del trasferimento dell’utero è stato dimostrato dalla comparsa di mestruazioni nella donna trapiantata, ma non si è riusciti ad avere la desiderata gravidanza perché due embrioni, trasferiti dopo 18 mesi dall’intervento,sono stati abortiti spontaneamente alla sesta settimana.17
Nel 2012 ha preso il via in Svezia una sperimentazione sull’uomo rigorosamente strutturata e pienamente rispondente ai criteri di prati-cabilità condivisi dalla comunità scientifica internazionale nel con-sensus di Indianapolis e nei criteri di Montreal.18Sono state arruolate donne prive di utero per isterectomia o per cause congenite. Sono stati concepiti embrioni in vitro con gli ovociti delle donne e sono stati sottoposti a crioconservazione. Le donne hanno ricevuto l’utero da donatrici viventi e sono state sottoposte a opportuna terapia antirigetto. Una volta che l’utero trapiantato ha cominciato a rispondere agli stimoli ormonali ed è stato ritenuto pronto per una gravidanza, è stato trasferito in ciascuna un embrione crioconservato. Il metodo ha dimostrato la sua validità e praticabilità con la nascita, nel settembre 2014, di un bambino.19
La madre è una donna di 35 anni nata con agenesia uterina per sindrome di Rokitansky. La donatrice è stata un’amica intima di fa-miglia, una donna di 61 anni che aveva partorito due figli. Il mismatch HLAfra donatrice e ricevente era 3/2 e non erano presenti anticorpi anti-HLA. Entrambe le donne erano sieropositive per infezioni da Cytomegalovirus e virus Epstein-Barr. Dopo il trapianto di utero, laricevente ha avuto una prima mestruazione dopo 41 giorni ed ha continuato a mestruare a intervalli regolari con un intervallo compreso fra 26 e 36 giorni. Un anno dopo il trapianto, la donna ha ricevuto uno degli 11 embrioni che, prima del trapianto, erano stati concepiti in vitro con seme del partner mediante la ICSIe poi crioconservati.La donna faceva una terapia immunosoppressiva antirigetto con tacrolimus, azatioprina e corticosteroidi e l’ha continuata per tutta la gravidanza.
Ha avuto tre episodi lievi di rigetto, uno dei quali in gravidanza, superati con opportuna terapia corticosteroidea. La crescita fetale e tutti i parametri usuali sono stati normali durante tutta la gravidanza e, in particolare, il flusso ematico nelle arterie uterine e ombelicali. A 31 settimane e 4 giorni la paziente ha sviluppato un episodio di pre-eclampsia che ha consigliato, 16 ore più tardi, un parto cesareo a motivo di anomalie cardiotocografiche. È nato un bambino di sesso maschile di peso normale per l’età gestazionale (1775 gr) e con indice Apgar 9,9,10.
4. ASPETTI BIOETICI
Gli aspetti bioetici connessi con il trapianto di utero sono molteplici, ma, allo stato attuale della ricerca, possiamo ridurli a tre: l’accettabilità del trapianto di utero in se stesso, i criteri di eticità in questa fase sperimentale, la giustificazione del rischio tenendo conto dei tre soggetti coinvolti e cioè la donna che riceve l’utero, la donatrice e il concepito la cui gestazione avviene nell’utero donato.
4.1 Liceità del trapianto
L’utero è un organo muscolare cavo connesso da una parte con la vagina e dall’altra, mediante le tube, con le ovaie, destinato ad acco-gliere l’embrione concepito e a garantirgli un ambiente ideale per il suo sviluppo fino al momento del parto. In quanto organo effettore, in linea di principio non ci pare che il trapianto di utero possa essere dichiarato illecito, non diversamente dal trapianto di rene o di cuore.
Dal punto di vista antropologico ed etico esiste una grande diffe-renza fra donazione di utero e affitto di utero. Nel caso del trapianto, l’utero viene integrato nel corpo di una donna che ne è priva e l’or-ganismo della ricevente ne assume il pieno controllo funzionale at-traverso l’asse ipotalamo-ipofisario. Nel caso della maternità surrogata non è in gioco un semplice utero, dato in affitto alla stregua di un qualsiasi oggetto, ma è coinvolta una donna, una persona, che diventa madre gestazionale (mére porteuse) del figlio di un’altra con tutte le problematiche etiche, giuridiche e psicologiche che la surrogazione comporta.
Per il reperimento degli uteri da trapiantare, si può ricorrere a ca-daveri – come nel caso della Turchia – e questo chiede di rispettate le condizioni usuali per il prelievo post mortem.20 Nel protocollo svedese gli uteri provengono da donatrici viventi e questo crea il problema della mutilazione del donatore perché l’utero non è un organo pari e la sua funzione viene perduta definitivamente.21 Si cercano, per questo, donne che abbiano già compiuto il loro progetto in ordine alla generazione o – come si dice con crudo gergo medico – donne che abbiano completato il loro ciclo riproduttivo. Il dono rappresenta, comunque, una singolare solidarietà fra donne e, proprio per essere un vero dono deve escludere ogni forma di commercializzazione del corpo personale.22 Le potenziali donatrici, inoltre, dovranno essere accuratamente informate circa i rischi che la donazione comporta.23
Un problema per la bioetica personalista non deriva dal trapianto in sé, ma dall’ottenimento della successiva gravidanza con tecniche di fecondazione extracorporea e successiva crioconservazione di embrioni da trasferire in utero. Se la gravidanza, stante le tecniche impiegate, non potesse essere ottenuta naturalmente, il trapianto di utero sarebbe per questa ragione inaccettabile. Bisognerebbe modificare la tecnica corrente che comporta il trapianto del solo corpo uterino per trapiantare l’intero complesso utero-tubarico, procedura gia sperimentata – come abbiamo visto – in alcuni modelli animali.
Nel trapianto fatto in Turchia nel 2000 l’utero era stato trapiantato con le sue tube, anche se i tentativi di indurre la gravidanza erano stati fatti con tecniche di transferembrionale, come nel protocollo svedese. Qualcuno ha proposto, in altri contesti, il trapianto en-bloc dell’intero complesso funzionale utero-tube-ovaie, ma nel caso del trapianto di ovaie in sede ortotopica, si avrebbe l’inserzione in una donna delle potenzialità genetiche di un’altra e, quindi, la sostituzione di una identità genetica, consegnata ai gameti, con un’altra identità genetica. Nel caso del trapianto di ovaia, infatti, il figlio eventualmente nato sarebbe biologicamente correlato con la donatrice di ovaia, realizzandosi una singolare forma di eterologa.24
Questi ostacoli di natura etica cadrebbero se si potesse trasferisse il complesso utero-tubarico con ristabilimento di un legame anatomico e funzionale fra le tube trapiantate e le ovaie della recettrice. Allo stato attuale della ricerca questa via si presenta alquanto incerta negli esiti. “È discutibile – afferma a tal proposito Brännström – se si stabilirà una funzione ovario-tubarica naturale fra l’ovidotto trapiantato e l’ovaio nativo. La possibilità di un concepimento naturale sarebbe minima e il rischio per una gravidanza ectopica elevato”.25
4.2Etica della sperimentazione
Il trapianto di utero costituisce una procedura innovativa che ha ancora bisogno di estesa sperimentazione prima dell’eventuale introduzione nella pratica chirurgica corrente. La trapiantologia ha compiuto progressi enormi dal punto di vista delle tecniche chirurgiche e del controllo del rigetto, ma il trapianto di utero ha caratteristiche tutte particolari perché lo scopo di questo trapianto è di mantenere tutte le potenzialità funzionali dell’utero in ordine alla gravidanza e alla nascita di una prole sana.
Nella letteratura ci si riferisce al trapianto di utero sia come “in-novazione chirurgica” o “surgical innovation” (nei criteri di Montreal) sia come “sperimentazione clinica” o “clinical trial” (nel protocollo svedese). Dal punto di vista concettuale la sperimentazione e l’innovazione rappresentano due realtà distinte. Si intende per innovazione in campo chirurgico una procedura nuova e mai validata ovvero l’introduzione di modifiche significative in una procedura già praticata. Si tratta di “un nuovo intervento in evoluzione i cui effetti, effetti collaterali, sicurezza, affidabilità potenziali complicazioni non sono ancora generalmente conosciute nella comunità dei medici”.26 L’innovazione ha come scopo principale e immediato il miglioramento della salute e qualità della vita del paziente su cui si interviene, mentre la ricerca in senso stretto mira a una espansione delle conoscenze e alla verifica di procedure nuove che non hanno necessariamente una ricaduta positiva immediata sui pazienti coinvolti.27
I due tentativi compiuti in Turchia e in Arabia Saudita non si col-locavano nel contesto di una ricerca previa scrupolosa e metodica e si presentano, pertanto, come una sorta di innovazione azzardosa. Il protocollo svedese si presenta, al contrario, come un “clinical trial” e la fa per sottolineare la finalità conoscitiva che esso ha ai fini di una standardizzazione del trapianto di utero. Non si può sottacere, però, che l’arruolamento di donne prive di utero e la possibilità di dar loro la gioia di una gravidanza mostra che, nel protocollo svedese, è compresente il carattere di un tentativo terapeutico innovativo. Si potrebbe parlare in questo, come in altri casi, di una terapia speri-mentale in cui le finalità conoscitive proprie della sperimentazione ele finalità terapeutiche proprie dell’innovazione si intrecciano. Per l’analisi etica di queste procedure è utile rifarsi – come fa il documento di Montreal – ai criteri indicati da Moore.28 Questi criteri comprendono: una base scientifica solida all’introduzione dell’innovazione, una adeguata sintesi di esperienza e conoscenza in tutti gli aspetti coinvolti dalla innovazione, un livello organizzativo elevato della Istituzione nella quale avviene la innovazione. Per una lecita pratica dell’innovazione così come della sperimentazione su soggetti umani bisogna basarsi su dati scientifici affidabili di natura anatomica e fisiopatologica e seguire un rationale esplicito e condiviso con esperti del settore.
Come in ogni sperimentazione la novità della procedura impedisce di quantificare con precisione il rischio. In vista di un contenimento massimo del rischio, nel caso del trapianto di utero, prima di procedere agli interventi su soggetti umani è stato necessario farsi una adeguata esperienza sui modelli animali per acquisire le necessarie informazioni e mettere a punto le tecniche chirurgiche. In secondo luogo è stato necessario affrontare tutte le problematiche medico-chirurgiche implicate ed in particolare la terapia immunosoppressiva e la gravidanza in condizioni di terapia antirigetto, dal momento che il trapianto è finalizzato alla possibilità di una gravidanza. Tutto questo chiede strutture istituzionali capaci di garantire continuità nell’assistenza ed équipes medico-chirurgiche altamente specializzate In questa fase ancora pionieristica sull’uomo andranno prese tutte le precauzioni per evitare danni alle volontarie e tutta la procedura e i rischi possibili dovranno essere illustrati alle volontarie, secondo le regole internazionali del consenso agli atti sperimentali. In particolare le donne dovranno essere informate che il trapianto di un organo solido comporta un trattamento antirigetto adeguato, con rischi a medio e lungo termine fra i quali i più delicati sono i problemi della crasi ematica, l’osteoporosi, l’aumentata suscettibilità alle infezioni, l’aumentata incidenza di fatti tumorali.
L’accettabilità di un rischio ancora non definito né quantificato rappresenta, quindi, uno dei nodi etici fondamentali anche perché nel caso del trapianto sperimentale di utero i soggetti coinvolti nel rischio sono due: la madre e l’embrione che viene trasferito in utero.
A parte l’accettabilità o meno della fecondazione in vitro, credo che non si possa mettere a rischio di aborto spontaneo un embrione solo per condurre una sperimentazione. Questa difficoltà non si presenta ovviamente per coloro che non attribuiscono all’embrione precoce una piena qualificazione antropologica ed etica, ma è ben presente alla bioetica personalista. Il fatto che l’aborto spontaneo sia evitato in ogni modo, non cambia la valutazione negativa per l’esposizione di un essere umano incapace di consenso a una sperimentazione tan-to rischiosa e potenzialmente letale. Procedere a tentativi di transferembrionario al di fuori di situazioni di elevata specializzazione e di larga esperienza su modelli animali sarebbe senza dubbio immorale. Lo stesso giudizio negativo varrebbe nel caso del trapianto del com-plesso tubo-ovarico seguito da fecondazione normale o da insemina-zione perché, comunque, si esporrebbe il concepito a difficoltà di trasporto con rischio di gravidanze extrauterine. Una volta iniziata la gravidanza, sarà necessario garantire che la terapia immunosoppres-siva non abbia effetti dannosi sull’embrione e il feto. Solo, quindi, un protocollo sperimentale che minimizzi i rischi per donna e conce-pito può essere eticamente accettabile.
4.3 Ragionevolezza della procedura
Superata la fase propriamente sperimentale, prima di introdurre il trapianto di utero come standard per il trattamento per alcune forme di sterilità uterina, sarà necessario fare un prudente bilancio dei rischi e dei benefici (risk/benefit ratio). Ci si chiede, in sostanza, se il desiderio di maternità giustifichi l’assunzione dei rischi connessi con questo intervento e con la susseguente gravidanza sia per la madre sia per il nascituro.
L’assenza di utero non può essere considerata una condizione che metta in pericolo la vita della persona, come potrebbe essere un grave problema cardiaco o una grave insufficienza renale, e, di conseguenza, il trapianto di utero non si configura certo come un intervento salvavita che giustifichi l’assunzione di rischi importanti. Esiste anche discussione sul fatto di poter considerare la sterilità una patologia vera e propria, ma certo, in una visione olistica della salute, la sofferenza della sterilità come sensazione di incompiutezza rispetto alla normalità ideale si configura come uno stato di salute ferito e, quindi, come una patologia anche se una patologia sui generis: una patologia è tale anche se non provoca sofferenza fisica o danni metabolici permanenti. La normalità di una persona è di essere feconda e lesioni congenite o acquisite degli organi della riproduzione sono dei minus e dei deficit rispetto alla normalità e, anche senza considerarele ripercussioni psicologiche che può avere sul benessere della persona, l’assenza di utero costituisce una menomazione fisica della donna nella sua dimensione di madre potenziale. Sotto questo punto di vista il desiderio di ripristinare una ideale integrità anatomo-fisiologica per avere una maternità il più possibile naturale, evitando la maternità surrogata, per esempio, deve essere guardato con rispetto.
La gravidanza è molto più che la momentanea gestazione di un essere umano non ancora in grado di sopravvivere nell’ambiente esterno. Il senso umano della gestazione si comprende come forma concreta che assume la accoglienza della donna che ha aperto il suo spazio interiore al figlio, realizzando una singolare e irripetibile rela-zione interpersonale. Per evitare attese irrealistiche, la donna dovrà essere avvisata chiaramente che dall’utero trapiantato non le arrive-ranno i segnali sensoriali di contrazioni o delle pressioni del feto sulla parete così che ella, considerando quella che potrà essere per lei l’esperienza reale della eventuale gravidanza, possa prendere decisioni ben ponderate.29 A nostro parere, comunque, la bellezza della esperienza della gravidanza può giustificare l’assunzione del rischio chirurgico e della terapia immunosoppressiva.
Essendo il trapianto di utero e l’assunzione del rischio corrispon-dente, ragionevolmente motivati soltanto dalla gravidanza di un figlio proprio, i protocolli correnti prevedono, una permanenza limitato dell’utero trapiantato nella donna ricevente e, quindi, una pressione immunosoppressiva limitata nel tempo. Una volta avvenuta la de-siderata gravidanza si consiglierà, pertanto, alla donna di espiantare l’utero trapiantato.
Se il miglioramento delle tecniche permetterà concepimenti e gravidanze in sicurezza, ferma restando la rischiosità intrinseca nelle prime fasi della vita, resta la questione degli effetti negativi della te-rapia immunosoppressiva sul concepito. È noto che sono stati segna-lati, in corso di immunosoppressione materna, per esempio dopo tra-pianto renale, un aumentato rischio di prematurità, basso peso alla nascita e maggiore incidenza di preeclampsia e alterazioni del profilo immunitario fetale, ma non le sempre temute malformazioni strutturali.30 Come abbiamo accennato sopra, l’introduzione di nuovi protocolli di medicazione immunosoppressiva comprendenti tacrolimus accanto ad agenti tradizionali, come la ciclosporina, dovrebbepermettere – per l’induzione di tolleranza immunologica locale – di ridurre i dosaggi dei farmaci impiegati e rendere più sicura per il concepito, sotto questo punto di vista, la gestazione in utero trapiantato.31
5. PROBLEMATICHE GIURIDICHE
La possibilità di procedere al trapianto di utero deve essere valu-tata, oltre che dal profilo biomedico e bioetico, anche dal profilo giuridico che, fra l’altro, è notevolmente diverso da paese a paese. Le nostre riflessioni e osservazioni si collocano nel contesto giuridico italiano.32
Diciamo, prima di tutto, che, per la novità della procedura e per l’indole ancora sperimentale che in gran parte ancora mantiene, un eventuale tentativo di trapianto di utero dovrà sottostare alla disciplina giuridica che regola le attività sperimentali, fatti i debiti adattamenti al campo chirurgico perché la giurisprudenza si riferisce quasi esclusivamente alla sperimentazione farmacologica.33
Pensando a una possibile normazione del trapianto di utero, sarà necessario richiamarsi alla disciplina generale dei trapianti e bisognerà distinguere, in via preliminare, la regolamentazione giuridica dei trapianti con organi prelevati da cadavere e i trapianti fra viventi. I trapianti da cadavere furono permessi dapprima con la legge n. 235 del 3 aprile 1957 e un regolamento applicativo emanato come decreto presidenziale il 3 maggio 1961 stabiliva, senza eccezioni, quali organi potessero essere prelevati e trapiantati. Tutta la materia è stata, poi, aggiornata e sistemata con la legge n. 91 del primo aprile 1999. In base all’art. 3 questa legge sono esclusi esplicitamente dal trapianto gonadi ed encefalo e, quindi, non dovrebbero esserci problemi per il prelievo di utero da cadavere. La regolazione dei trapianti tra vivi è stata oggetto di diversi interventi legislativi. La legge n. 160 del 26 giugno 1967 disciplinava il trapianto di rene tra viventi e permetteva a determinate condizioni e per questa finalità la lesione dell’integrità fisica del donatore in deroga all’art. 5 del Codice civile che vieta “atti di disposizione del proprio corpo (…) quando cagionino una diminuzione dell’integrità fisica”. La donazione parziale di fegato è stata regolata dalla legge n. 483 del 16 dicembre 1999 e le emotrasfusioni sono state disciplinate dapprima dalla legge n. 107 del 1990, poi sostituita dalla legge n. 219 del 2005. Il Comitato Nazionale di Bioetica ha emesso due documenti sul trapianto di rene da vivente, uno nel 1997 sul trapianto fra non consanguinei e uno, nel 2010, sul cosiddetto trapianto samaritano. Nel 2010 abbiamo avuto il decreto legge n. 16 del 25 gennaio che recepiva le direttive europee vertenti in materia di trapianto di tessuti e cellule umani.
Molto rilevante per la nostra questione è il decreto legge n. 116 del 16 aprile 2010 che stabilisce un Regolamento per lo svolgimento delle attività di trapianto di organi da donatore vivente. In esso viene menzionata in modo specifico solo la disciplina della donazione di rene e di parte del fegato, tuttavia il decreto non pone limiti espliciti ad altre donazioni e stabilisce alcuni orientamenti generali. Significativo è l’articolo 1: “Il personale sanitario che, a vario titolo, partecipa all’attività di trapianto di organi o di parte di organo da donatore vivente è tenuto ad osservare tutte le misure previste dallo stato della scienza e della tecnica medica e a proteggere la dignità e la personalità del donatore vivente senza mettere in pericolo la sua salute”.34 Dal punto di vista procedurale ci interessa anche l’articolo 2 che impone all’Azienda sanitaria sede del Centro trapianti o il Centro regionale di riferimento per i trapianti di nominare una commissione di esperti sulle problematiche correlate al trapianto da donatore vivente con il compito di “verificare che i riceventi e i potenziali donatori abbiano agito secondo i principi del consenso informato, libero e consapevole, ed abbiano inoltre ricevuto tutte le informazioni relative al proprio caso clinico, ai fattori di rischio e alle reali possibilità di successo offerte dal trapianto da donatore cadavere e dal trapianto da donatore vivente, anche in termini di sopravvivenza dell’organo e del paziente. La Commissione vigila, altresì al fine di prevenire i rischi di commercializzazione di organi o di coercizione nella donazione, nel rispetto delle linee guida disposte dal Centro nazionale trapianti. Verifica inoltre, l’esistenza di consanguineità con il ricevente o, in assenza di consanguineità, di legame di legge o affettivo”.35
Riguardo al caso specifico del trapianto di utero da vivente, si po-trebbe obiettare – come si è già detto nel paragrafo precedente – che non è un trapianto salvavita come il trapianto di rene o di parte del fegato, ma, di per sé, la legge non dice che il trapianto deve essere salvavita e abbiamo visto, inoltre, che l’assenza dell’utero può essere percepita dal soggetto come una menomazione dell’integrità personale tale da giustificare un trapianto.
Nel caso del prelievo da cadavere valgono le norme generali sull’accertamento della morte e sul consenso al prelievo come per ogni altro organo o tessuto. Diverso è il caso della donazione da vivente perché l’ordinamento italiano pone limiti precisi alla libertà del soggetto di disporre del proprio corpo. L’idea di fondo è che il soggetto possa ragionevolmente disporre del proprio corpo e, per motivi adeguati, possa mettere a rischio e perdere la propria integrità fisica e funzionale. La dottrina giuridica attuale tende a leggere l’integrità in senso dinamico estendendola alla possibilità di esprimere le proprie potenzialità e sviluppare i propri progetti e relazioni. “La donazione dell’utero – scrive Simona Chessi – atto di disposizione del corpo a favore di terzi, con cui si mira alla realizzazione di un beneficio a favore di una persona diversa dal soggetto titolare del bene, per essere lecito non deve pertanto superare certi limiti, non deve cioè compromettere l’integrità funzionale del soggetto donante”.36 In base a questo principio, sarebbe lecito il dono fatto da una donna in menopausa fisiologica, essendosi esaurito il suo potenziale procreativo, così che il dono dell’utero non incide sostanzialmente sull’integrità personale e le potenzialità espressive della persona. Mi sembra più problematico il dono di utero da parte di donne ancora in età fertile dal punto di vista biologico, ma vicine alla menopausa o che, comunque, hanno comple-tato i loro progetti di maternità: privare una donna dell’utero quando ancora potrebbe determinarsi nei confronti di una nuova maternità significa privare un soggetto della libertà di determinarsi e rideterminarsi nei confronti di un progetto diverso. Non si può affermare che il dono di utero da vivente sia assolutamente da proscrivere, non trattandosi di organo vitale, ma le motivazioni della donatrice e le eventuali ripercussioni psicologiche andrebbero di volta in volta esaminate con attenzione.
A questo proposito bisogna segnalare – come già hanno fatto alcuni Autori –37 il rischio molto verosimile che, una volta che il trapianto di utero entrasse nella pratica medica corrente, quest’organo potrebbe diventare, al pari del rene, oggetto di compravendita clandestina in paesi a basso reddito, come l’India o il Pakistan che già oggi sono un tragico “bazar degli organi”. Proprio l’India fra l’altro, a motivo di un legislazione ambigua e di una prassi corriva, è meta di turismo riproduttivo da parte di coppie, etero od omosessuali, che vogliono ricorrere alla maternità surrogata.38 Per le donne prive di utero, gli stessi Paesi in cui oggi esse cercano una madre surrogata, reclutata di regola fra le classi più povere, potrebbero diventare il luogo dove cercare, negli stessi ambienti di povertà, una potenziale donatrice di utero.
6. PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE, CULTURALI E SOCIALI
Le problematiche psicologiche, culturali e sociali sono molte ma, data la novità della procedura, ancora tutte da verificare nella loro portata e concretezza. L’esperienza della medicina dei trapianti tradizionali ci ha insegnato che esistono non di rado ripercussioni psichiche di varia natura e intensità in coloro che hanno ricevuto trapianti.39 Questi problemi sono più frequenti e gravi per gli organi percepiti dal soggetto in più stretta relazione con l’identità personale: possono essere organi dotati di alta valenza simbolica, come il cuore, o espressivi della soggettività, come la faccia, o che sono parte integrante dello schema corporeo, come la mano. L’utero non può essere considerato un organo puramente funzionale, ma ha una carica simbolica potente e viene percepito dalla donna come espressione fisica della sua femminilità e della sua apertura alla maternità. Si può supporre che i problemi psicologici potrebbero essere ancora più difficili da elaborare nel caso di donazione da vivente perché l’organo di un’altra donna ancora viva potrebbe essere percepito come una presenza estranea all’insieme corporeo. Le difficoltà potrebbero diventare ancora più gravi se la donatrice è una consanguinea (madre o sorella), come in alcuni dei casi trattati nella sperimentazione svedese. Un ruolo non secondario, nella pratica del trapianto di utero, sarà giocato, pertanto, dal counselling psicologico: prima del trapianto, bisognerà selezionare le candidate tenendo conto delle possibili ripercussioni psichiche che potrebbero aversi a motivo dell’inserzione di un organo a lei estraneo, soprattutto, se proveniente da vivente e da vivente consanguinea.
Non minor attenzione andrà posta alle ripercussioni psicologiche sulla donatrice. Fra i donatori di rene, per esempio, si presentano depressione, rabbia, disillusione e un senso di tradimento e persino comportamenti suicidi nel caso di decesso del ricevente, perché il donatore si lega inestricabilmente alla riuscita del dono fatto al ricevente.40 In particolare, nel caso del dono di utero, la donatrice si trova nella condizione di essere isterectomizzata e questo può causare in lei una ferita alla sua identità di genere ed avere effetti sulla sua vita sessuale.41 È ragionevole pensare che la motivazione solidaristica della donazione potrebbe permettere di evitare molti dei rischi psichici che gli Autori ipotizzano basandosi sugli effetti psichici dell’isterectomia motivata da patologie uterine. Resta, comunque, da gestire il nodo dell’intreccio psichico che potrebbe venirsi a creare fra donatrice e ricevente quando queste siano legate da vincoli di amicizia stretta o di parentela o, addirittura, di consanguineità.
La letteratura medica indica come destinataria tipica del trapianto di utero una donna in età fertile che desidera la maternità e che soffre di Fattore uterino di infertilità. In un articolo pubblicato nel 2013 fu Fertility and Sterility, gli stessi Autori che hanno elaborati i criteri di Montreal hanno esaminato situazioni particolari che sono state messe in evidenza nel contesto del dibattito internazionale sorto in questi ultimi anni intorno al trapianto di utero.42
Si discute, anzi tutto, la possibilità di praticare un trapianto di utero in soggetti biologicamente non femmine e, cioè, in pazienti maschi o transessuali (da maschio a femmina).43 Un trapianto in questi soggetti – affermano gli Autori – sarebbe molto difficoltoso dal punto di vista tecnico per creare de novo una adeguata vascola-rizzazione uterina, per la necessità di un appropriata terapia ormonale sostitutiva per sostenere impianto e gravidanza, per il collocamento dell’utero in una pelvi non ginecoide. Manca – almeno fino ad ora – una esperienza chirurgica in modelli animali maschili perché i tentativi sull’essere umano hanno sempre visto interessati riceventi di sesso femminile e, perciò, la mancanza di un adeguato background sperimentale impedirebbe oggi l’esecuzione etica questo tipo di trapianto in soggetti geneticamente maschi. Gli Autori, in un clima di assoluta “correttezza politica”, affermano che “non sembra che ci sia prima facie una ragione etica per respingere l’idea di eseguire untrapianto di utero in un paziente maschio o transessuale. Un paziente maschio o trans che desideri portare in pancia (“gestate”) un figlio non ha un diritto a quel desiderio minore delle controparti femminili. Il principio di autonomia non è sesso-specifico”.44 Ci muoviamo – è chiaro – nella prospettiva della teoria del genere nella forma in cui è stata classicamente elaborata da Autori molto influenti, come la Butler, secondo la quale “il genere è una costruzione culturale”. Di conseguenza non è né il risultato causale del sesso, né è tanto apparentemente fisso come lo è il sesso (…) Quando lo status costruito del genere viene teorizzato come del tutto indipendente dal sesso, il genere stesso diviene un artificio fluttuante, con la conseguenza che uomo e maschile possono significare tanto facilmente un corpo femminile quanto uno maschile, e donna e femminile tanto facilmente un corpo maschile quanto uno femminile.45 Nel nostro caso il corpo verrebbe manipolato con il trapianto per vivere una esperienza, quella della gravidanza, che di per sé sarebbe biologicamente impossibile al soggetto e per rendere il corpo sempre più simile al proprio desiderio, cioè – per dirla con un personaggio di Almodóvar – per renderlo sempre più simile “a ciò che ciascuno ha sognato di se stesso”.46 Senza mettere in dubbio la legittimità del desiderio di questi soggetti, gli Autori concludono, tuttavia, che, bilanciando il rischio con i benefici psichici che l’intervento comporta, “una persona che desidera un trapianto di utero per allineare il corpo con la sua immagine corporea può essere meglio aiutata da terapie di impianto psicologico piuttosto che terapie di tipo chirurgico”.47
Il criterio della ragionevole proporzione fra i benefici del trapianto e i rischi connessi con l’intervento e, soprattutto, con la susseguente terapia antirigetto inducono a non accondiscendere alla richiesta di donne prive di utero che chiedessero il trapianto senza un desiderio e un progetto di maternità. Una donna potrebbe avere un trapianto di utero perché la mancanza di utero per difetti congeniti o per isterectomia la fa sentire incompleta e il trapianto potrebbe essere cercato solo per reintegrare propria immagine corporea. Il rispetto del medico per l’autonoma decisione di un soggetto non può sopravanzare il dovere, parimenti grave, di non porre in essere trattamenti in qualche modo dannosi o inutilmente rischiosi per il paziente (principio di non maleficienza). Il disagio psichico che possono vivere donne prive dell’utero è indiscutibile, ma se esistono altre vie per superarlo o attenuarlo, come la psicoterapia, queste vie meno rischiose devono essere perseguite.
Alcuni Autori, infine, hanno attirato l’attenzione sulle peculiari problematiche etiche e sociali che comporterebbe l’introduzione del trapianto di utero in paesi a basso reddito e di cultura patriarcale.48 In Pakistan, per esempio, modello di contesti socio-culturali di questo tipo, il trapianto di utero si incontrerebbe con una mentalità patriarcale nella quale tutte le decisioni in materia riproduttiva sono in mano della suocera che fa pressioni indebite sulla nuora e che, a volte, impone terapie per la fertilità alla nuora anche dopo che è stata stabilita un’infertilità maschile. Non si può neppure dimenticare che in molti contesti patriarcali la donna ha una funzione esclusivamente procreatrice e la spinta culturale a cercare la fecondità ad ogni costo, accettando ogni rischio e affrontando spese mediche sproporzionate, può essere veramente grande. Si tratta di osservazioni acute sulla possibilità che questa e altre tecniche biomediche innovative, trasferite di peso in contesti di povertà e di pronatalismo patriarcale, possano diventare strumenti di ulteriore bioviolenza ai danni delle donne. Nello stesso tempo è un invito all’Occidente ad allargare i confini della sua riflessione morale per intercettare contesti e situazioni vitali diversi dai propri nell’ambito di un autentico multiculturalismo.
7. RIASSUNTO
Le donne con infertilità da fattore uterino (FUI) dovuto a motivi congeniti (es. sindrome di Rokitansky) o a isterectomia non hanno alcuna possibilità di realizzare il loro desiderio di maternità se non ricorrendo all’adozione o alla maternità surrogata che, però, è proibita in molti paesi. Il trapianto di utero, attualmente in studio, potrebbe rappresentare una alternativa per le donne che desiderano fare esperienza della gravidanza. Dopo decenni di ricerche animali, in Svezia si è avuto la prima nascita dopo trapianto di utero e fecondazione in vitro e questo prova che il trapianto di utero potrebbe essere un trattamento per la FUI. In linea di principio il trapianto è accettabile, ma ci sono molti problemi etici che devono essere considerati nel contesto della sperimentazione e di una eventuale introduzione nella pratica clinica.
*M. FAGGIONI, MD ed endocrinologo, Professore Ordinario di Bioetica, Accademia Alfonsiana, Roma, e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita (recapito per la corrispondenza: faggionimp@libero.it).
Il contributo è stato accettato per la pubblicazione in data: 15.1.2015
Medicina e Morale 2015/1: 17-39
Parole chiave: trial clinico, innovazioni chirurgiche, fattore uterino di infertilità (FUI), trapianto di utero.
Key words: clinical trial, surgical innovation, uterine factor infertility (UFI),uterine transplantation.
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10. Ha destato perplessità negli esperti che una ovariectomia per cisti ovariche multiloculari sia stata eseguita per via chirurgica perché, in questi casi, normalmente l’intervento viene eseguito in via laparoscopica e senza isterectomia. Ci sono stati dubbi anche sulla raccolta del consenso della donatrice. Vedere: KANDELA P. Uterine transplantation failure causes Saudi Arabian government clampdown. The Lancet 2000; 356: 838.
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22. Il tema della donna altruista ha radici antiche nell’etica della procreatica, sia nei riguardi della maternità surrogata, sia nei riguardi della donazione di ovociti. Si veda un articolo classico: RAYMOND JC. Reproductive gifts and gift giving: the altruistic woman. Hastings Cent Rep. 1990; 20 (6): 7-11. Recentemente, per la maternità surrogata, si è proposto un modello professionale che vorrebbe andare oltre il modello altruistico e quello commerciale: cfr. VAN ZYL L, WALKER R. Beyond altruistic and commercial contract motherhood: the professional model. Bioethics 2013; 27: 378-381.
23. KISU I, MIHARA M, BANNO K ET AL. Risks for Donors in Uterus Transplantation. Repr Sc. 2013; 20: 1408-1415.
24. Abbiamo affrontato anni fa, su questa stessa rivista, le problematiche etiche del trapianto di gonadi: FAGGIONI MP. Il trapianto di gonadi. Storia e attualità. Medicina e Morale 1998; 48: 15-46.
25. BRÄNNSTRÖM, WRANNING, ALTCHEK. Experimental uterus transplantation…, p. 332.
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La conclusione negativa della Chiessi sulla “prematurità” del trapianto sull’uomo è basata su dati oggi in parte superati e va ridimensionata.
33. Sulla disciplina della sperimentazione in ambito trapiantologico: GIUNTA F. La disciplina penale dei trapianti e degli xenotrapianti in PALOMBOD, RAMELLOA, TAPPEROP. Trapianti e Xenotrapianti. Aspetti etici e giuridici. Torino: Selcom Editoria; 2002: 109-136.
34. D.L. n. 116. Regolamento per lo svolgimento delle attività di trapianto di organi da donatore vivente (16 aprile 2010) art. 1.
35. Ibid., art. 2.
36. CHESSI. Il punto di vista … p. 388.
37. MUMTAZ Z, LEVAY A. Ethics criteria for uterine transplants: relevance for low-income, pronatalistic societies. J Clinic Res Bioeth. 2012; S, 1: 1-5.
38. Dal 2005 la maternità surrogata è regolata nel contesto di linee guida sulla fecondazione artificiale: INDIAN COUNCIL OF MEDICAL RESEARCH. National Guidelines for Accreditation, Supervision and Regulation of ART Clinics in India. New Delhi; 2005: ch. 3.10.1-8. Esistedal 2010 un progetto di legge: MINISTRY FOR HEALTH AND FAMILY WELFARE. The Assisted Reproductive Technologies (Regulation) Bill. New Delhi; 2010: ch. 7. 26-28. Cfr.: BAILEYA. Reconceiving surrogacy: toward a reproductive justice account on surrogacy work in India. Hypathia 2011; 26:4.
39. CRAVEN J, RODIN GM (eds). Psychiatric Aspects of Organ Transplantation. New York: Oxford University Press; 1992; DEW MA, FOX KR, DI MARTINI AF. Organ transplantation: Psychological and Behavioral Aspects in GELLMANNMD (ed).Encyclopedia of Behavioral Medicine. New York; Springer; 2013: 1390-1396; GOETZMANNL, SARACN, AMBÜHLPETAL. Psychological response and quality of life after transplantation: a comparison between heart, lung, liver and kidney recipients. Swiss Med Wkly. 2008; 138: 477-483; PUCAA. Modificazione della personalità nei trapiantati cardiaci. Esiti psicologici e implicazioni etiche e assistenziali. Medicina e Morale 1992; 1: 87-97.
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41. Cfr.: FERRONI P, DEEBLE J. Women’s subjective experience of hysterectomy. Aust Health Rev. 1996; 19: 40; VOMVOLAKI E, KALMANTIS K, KIOSES E ET AL. The effect of hysterectomy on sexuality and psychological changes. Eur J Conctracept Reprod Health Care. 2006; 11:23-27.
42. LEFKOWITZ A, EDWARDS M, BALAYLA J. Ethical considerations in the era of uterine tran-splant: an update of the Montreal criteria for the Ethical Feasibility of uterine transplanta-tion. Fertil Steril. 2013; 100: 924-926.
43. Cfr.: MURPHY TF. The ethics of helping transgender men and women to have children. Perspect Biol Med. 2010; 53: 46-60.
44. LEFKOWITZ, EDWARDS, BALAYLA. Ethical considerations … , p. 924.
45. BUTLER J. Gender trouble: Feminism and the subversion of Identity. New York: Routledge;1990: 6 (trad. it. Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Roma-Bari: Laterza; 2013).
46. Si fa riferimento al monologo di Agrado, transessuale operato, nel film di Almodóvar Todo sobre mi madre, che si chiude appunto con le parole: “Una es más auténtica cuanto másse parece a lo que ha soñado de sí misma”.
47. LEFKOWITZ, EDWARDS, BALAYLA. Ethical considerations … , p. 925.
48. MUMTAZ Z, LEVAY A. Ethics criteria for uterine transplants: relevance for low-income, pronatalistic societies. J Clinic Res Bioeth. 2012; S, 1: 1-5.
¿Cómo citar esta voz?
Sugerimos el siguiente modo de citar, que contiene los datos editoriales necesarios para la atribución de la obra a sus autores y su consulta, tal y como se encontraba en la red en el momento en que fue consultada:
Faggioni, Maurizio, TRAPIANTO DI UTERO ASPETTI MEDICI, BIOETICI E GIURIDICI, en García, José Juan (director): Enciclopedia de Bioética.